Ultimamente
ho avuto la sensazione di aver terminato un percorso (di studio) per cui ho
speso tante energie e nel quale ho investito tanto tempo e riposto tutte le mie
speranze, ma che, infine, questo non mi abbia lasciato nulla di concreto tra le
mani. E invece a ripensarci s’è fatto tanto e s’è iniziata una storia.
L’anno che sta
per concludersi lo iniziai con un progetto già in corso, una sorta di “maratona”
dedicata ad un cartone animato: la serie animata Pokémon. Fin da bambino mi
porto dietro una particolare passione per i cartoni animati, credo che ad
appassionarmi siano le storie e le caratteristiche dei personaggi, ma più di
tutto sono i colori. I Pokémon si basano su entrambe le cose, un gran numero di
personaggi e tanti colori.
Una volta lessi
che da piccoli si amano due cose: gli animali e i supereroi. I Pokémon sono
animaletti con superpoteri, tutto ciò che un bambino potrebbe desiderare.
Avevo
abbandonato i Pokémon durante il periodo del liceo, ma in realtà non avevano
mai smesso di incuriosirmi e quando nella seconda metà del 2010 fu annunciata l’uscita
della quinta generazione l’aria si fece di nuovo frizzante e la qualità del nuovo
prodotto mi riconquistò pienamente.
Non avendo
mai giocato ad un videogioco targato Pokémon decisi che, per riprendere il filo
del discorso, avrei dovuto concentrarmi sulla serie animata: quella sì che l’avevo
seguita, e tra gli episodi sapevo orientarmi bene.
In circa un
anno, dall’estate 2009 all’estate 2010, riuscii a recuperare tutti gli episodi
delle varie serie e in settembre iniziai la maratona. È durata dal 27 settembre
2010 al 15 maggio 2011, 231 giorni, 625 episodi, una decina di lungometraggi e
più di venti episodi speciali. Un’esperienza fantastica ed emozionante, che non
fece altro che confermare la mia passione sia per il prodotto Pokémon, sia per
l’animazione giapponese in generale e la cultura e la sapienza tecnica che
esistono dietro a questo lavoro.
Dopo l’avventura
il divario è stato colmato dunque, e così ho potuto seguire in televisione il
finale della terza serie (tredicesima stagione occidentale) e continuare subito
dopo con i primi episodi della nuovissima serie, “Best Wishes”.
Nel
frattempo lo studio universitario s’era intensificato come mai aveva richiesto in
precedenza. I tre esami da sostenere prima di poter dedicarmi alla tesi di
laurea mi impegnarono moltissimo e mi ritrovai a decidere di abbandonare un’altra
mia passione, la WWE.
Ora so perché
il wrestling WWE mi appassionava, non tanto per i colori in questo caso, quanto
per la storia. Una volta lessi che nel wrestling si può riproporre la stessa storia
dopo sette anni, un periodo di tempo considerato abbastanza lungo per farla
assorbire agli appassionati e poterla riutilizzare. Ho seguito la WWE dalla
fine del 2003 alla metà del 2011, sette anni. Forse la storia stava iniziando a
ripetersi. Ho deciso per una passione più profonda, l’animazione giapponese.
Ricorderò sempre le emozioni vissute guardando i tuffi dalle corde, ma era venuta
l’ora di scegliere e incanalare tutte le energie nella sola passione che il
poco tempo libero concessomi dall’università mi permetteva di coltivare.
Quattro mesi
per tre esami. Dall’inizio di gennaio alla fine d’aprile ho studiato nell’ordine
Botanica generale, Letteratura latina e Letteratura italiana. Mi sono messo
alla prova e ho vinto la battaglia contro la mia memoria e il mio metodo di
studio. Ho imparato a studiare, ho conosciuto argomenti lontani dalle mie
passioni ma che sono stati utili per dare un’occhiata dentro di me. Ciò che ho
odiato studiare mi ha permesso di capire cosa amo davvero e nel frattempo i classici
della letteratura mi hanno dato una visione d’insieme della storia, quella
storia che oggi è anche mia.
Tra la fine degli
esami e l’inizio del lavoro di ricerca per la tesi decisi di partecipare ad un
concorso indetto dalla rivista ufficiale Nintendo. Disegnare un Pokémon, un
personaggio completo, con nome, caratteristiche e colorazione completamente
originali.
Dopo le centinaia
di episodi visti mi sentivo pronto ed elettrizzato dall’opportunità, ma non conoscendo
le dinamiche precise dello svolgimento dei videogiochi, destinazione originale
del prodotto Pokémon, mi documentai. Quando su Wikipedia trovai gli algoritmi
che regolano il funzionamento delle mosse dei Pokémon capii che era una cosa seria.
La sfida è stata emozionante, ho inventato Chinney,
l’ho disegnato, colorato e caratterizzato. Produssi una presentazione di 10
pagine tra testi e illustrazioni e la inviai.
Poi, senza
perdere un attimo di tempo, mi immersi nella scrittura della tesi di laurea. Titolo:
Damien Hirst. Dagli esordi a “Sensation”.
Esperienza impegnativa ed avvincente che mi ha dato modo di conoscere storie in
cui ho potuto immedesimarmi e che mi ha permesso di colmare il divario che c’è
tra il presente e il passato nel quale l’università che ho frequentato è
rimasta intrappolata, il motivo principale che mi spinse a fare una ricerca su
Hirst e il periodo che l’ha visto protagonista indiscusso della scena artistica
internazionale.
Il lavoro
per la tesi mi ha insegnato molto. Ho letto Sarah Kent, Gordon Burn, Gregor Muir,
Francesco Poli, Donald Thompson, Julian Stallabrass, Norman Rosenthal e lo
stesso Damien Hirst. Studiando un periodo spesso definito controverso ho
imparato ad avere il coraggio di assumermi la responsabilità delle idee che
decido di sostenere e delle decisioni che scelgo di prendere, anche a costo di
non piacere a tutti. Spesso si può avere torto ma chi si arrocca sul trono
della ragione senza esporsi al confronto diviene incapace di dimostrare la ragione
di cui si vanta e diventa elemento inutile del dibattito. Scompare. E l’ultima
cosa che io voglio fare è scomparire. M’è sembrato di capire che chi vuole
davvero ce la fa ed è in questa direzione che voglio continuare a muovermi. Ci
vuole coraggio, e voglio trovarne abbastanza per farcela.
La sera
prima del mio compleanno la tesi era terminata e stampata. Appresi la notizia
di aver vinto il concorso Pokémon. Un regalo perfetto! Quest’episodio mi ha
fatto riflettere. La domanda è: cosa succederebbe se vincessi un concorso
indetto dallo staff dell’edizione italiana della rivista ufficiale della prima
multinazionale di videogiochi al mondo per importanza, che ha prodotto i tre videogiochi
di maggior successo della storia, per di più disegnando un personaggio
completamente originale per la mia serie preferita fin da quand’ero ragazzino? Durante
il periodo degli studi universitari non avevo quasi mai disegnato, se non per
produrre bozzetti di opere da realizzare con altre tecniche. Potevo non aver
perso la manualità per produrre qualcosa che fosse di buon livello tecnico?
Ho vinto. E
ho scritto. Ho contattato le uniche due riviste del settore disponibili in
Italia, capaci di darmi una visione di ampio respiro sull’argomento. Una, lo scorso
novembre, ha pubblicato la mia lettera, rispondendomi che il quartier generale
Nintendo a cui rivolgersi sarebbe quello giapponese, confermando ciò che
risultava dalle mie ricerche: in Europa si reclutano esclusivamente
programmatori ed esperti di business. La lingua potrebbe essere l’ostacolo
maggiore mi hanno detto, ed eccomi ancora una volta nella situazione di dover
scegliere.
A breve
sarei stato laureato; anni fa capii che l’argomento che più m’interessa, mi
affascina e nel quale riesco ad esprimermi meglio è la storia dell’arte, ho l’ambizione
di specializzarmi in arte contemporanea, e, se avrò abbastanza fegato, tenterò
di diventare un artista. Una vittoria estemporanea, seppur nel mio cuore avesse
il peso della vittoria della vita, non bastava, ma era comunque un segno
importante e da non ignorare.
La sensazione
a prevalere è stata quella di avere un altro paio di carte valide in mano e
temporaneamente ho scelto di tenere il sogno nel cassetto ancora per un po’, e
per ora dedicarsi al mondo dell’arte, per il quale ho studiato e mi sento
maggiormente preparato, crearmi una storia artistica, fare esperienza e quando
arriverà il momento non esitare ad estrarre dal cilindro Chinney e gli altri e proporli. Ora so di possedere la capacità di
studiare e prepararmi, che si tratti di arte, di Hirst, Caravaggio o Pokémon.
Sono convinto che il momento arriverà, perché non smetterò di cercarlo.
Mi sono
laureato in settembre. Laureato in Beni artistici, teatrali, cinematografici e
dei nuovi media presso l’Università degli Studi di Parma. Alla mia discussione
ho invitato una sola persona, l’unica con la quale non mi sarei sentito a
disagio. Ti ringrazio.
Avevo voglia
di mettere le mani in pasta e staccarmi finalmente per un po’ dai libri. Sul
tavolo c’erano alcune possibilità tra cui scegliere. Pensai che l’esperienza
del tirocinio presso una galleria d’arte contemporanea milanese avrebbe potuto
tenermi impegnato per qualche mese prima di un possibile soggiorno all’estero. Nessun
riscontro. Tre mesi possono sembrare pochi, a me son parsi una mezza eternità. C’è
chi dice che a gennaio mi chiameranno in tanti e sarò costretto a scegliere. Forse
però sarà tardi, in questi mesi non son stato ad aspettare.
Durante l’anno
ho viaggiato. In giugno andai a Londra per capire come si vive da soli e tornai
a casa entusiasta; ho festeggiato il compleanno a Bobbio; in settembre, poco prima
di laurearmi, ho visitato la Biennale d’arte di Venezia ed è stata l’ennesima
conferma. Non c’è motivo per ignorare il contemporaneo e rimanere con lo
sguardo rivolto al passato, se si ha la volontà di farlo si può studiare e
capire anche il presente, la materia più ostica. M’è piaciuta la Biennale di
quest’anno, finalmente dopo tante visite inizio ad avere i mezzi per comprenderla
ed apprezzarla. Un mese dopo sono tornato a Venezia per visitare alcune mostre
collaterali: Anish Kapoor, Jan Fabre e Karla Black.
Karla Black
a Venezia: la mostra più emozionate vista quest’anno, peccato non abbia vinto
il Turner Prize; peccato anche per Ascension
di Kapoor, l’installazione alla Fabbrica del Vapore a Milano al contrario è
certamente al secondo posto della classifica delle mostre più emozionanti viste
quest’anno; For the Love of God di Hirst,
visto a Firenze in aprile: indimenticabile.
Ho visto
decine di film, ma ne voglio ricordare pochi, i miei preferiti: La versione di Barney di R.J. Lewis; 127 ore di D.Boyle; 13 assassini di T. Miike; le sensazioni della Mostra del Cinema di
Venezia: Seediq Bale di Wei Te-Sheng.
E il coro in sala.
Ricordo le
frizzanti private views e la performance di Shen Wei alla Collezione
Maramotti di Reggio Emilia: capire di avere la possibilità di aprire gli occhi
senza dover prendere l’aereo. In novembre, invece, mi sono preso la pioggia a Liverpool:
un bel viaggio, perché ogni viaggio ha il suo sapore, ed ho imparato qualcosa anche
in quell’occasione. Durante un attimo di spaesamento mi sono ricordato qual è il
luogo in cui mi sento a mio agio e nel quale so esprimermi al meglio.
Io da grande
voglio fare l’artista perché ho l’esigenza di esprimermi. E che io faccia
esperienza nell’ambiente con tirocini o altro non importa poi così tanto. L’ultima
fase sarebbe quella di eliminare gli intermediari e andare a propormi personalmente.
E a questo s’è lavorato.
Avevo
lasciato che troppa polvere si accumulasse sui progetti artistici. Si sono ripresi
in mano i fogli, s’è aperto il sito web e stampato nuovi biglietti da visita, s’è
iniziato a parlare e registrare le riflessioni, si sono prodotti documenti
cartacei dei lavori fatti negli ultimi anni, compreso un bel libretto di 150
pagine intitolato Una discussione sull’arte.
Ora è arrivato il momento di lavorare a nuove opere, il punto di svolta del
programma. Passare dal passato al futuro, impegnandosi da questo momento. Le
cose da fare sono poche: puntare al giusto obiettivo e cioè puntare in alto,
badare alla qualità e concretizzare.
Pochi giorni
fa ho pensato che questo sarebbe un buon momento per far terminare la storia,
sono stati raggiunti degli obiettivi e la vita inizia ad avere un senso. Potrebbe
essere un buon finale. Ma il finale è sempre un punto d’arrivo nel quale le
cose si sistemano in un certo ordine, proprio come all’inizio di qualsiasi
storia, che parte ogni volta da una situazione ordinata. La fine e l’inizio
dunque: ogni fine può essere un nuovo inizio. Questo momento potrebbe essere un
finale ma certamente è anche un nuovo inizio.
È chiaro che
ciò che scrivo è destinato essenzialmente a me, serve a fare il punto della
situazione, capire chi sono, come evolvo e dove voglio andare.
Potrei
interpretarlo come un segnale il fatto che questo riassunto sia stato pensato in
frasi brevi, c’è così tanto da fare e non c’è tempo per scrivere papiri. Forse la
storia comincia ad ingranare.
La musica che
ha accompagnato questo mio anno è dei Sukima Switch e delle Puffy Ami Yumi.
L’attività fisica
rimane la mia bestia nera, e trovo che sia un vero peccato.
Con l’inglese
ci sto provando ma so di dover cambiare aria, è necessario.
Ho conquistato
la fiducia di persone che stimo, ho amici che mi ispirano quotidianamente e che
alimentano la grande forza di volontà che mi anima. Mi sento pieno e mi dico: “continua
così”.
È arrivata l’ora
di riflettere sui seguenti punti, ormai cruciali, perché cruciale è il momento
attuale della mia vita: se continuerò a studiare lo farò all’estero, oppure potrei
cercare un percorso diverso dalla carriera da studente, ma in ogni caso mi
imporrò di farlo lontano da casa, per poter crescere, vedere ed imparare. E continuerò
a disegnare! Di partire ho paura ma l’alternativa sarebbe peggiore, so già che
lo è.
Se si hanno
rimpianti del passato significa che in quelle occasioni non è stato fatto tutto
il possibile. Qualunque cosa succeda io cercherò di non avere rimpianti come
non ne ho ora, ce l’ho sempre messa tutta e continuerò a farlo, perché è l’unico
modo che conosco per fare le cose come mi piacciono, mettendocela tutta.
SM