sabato 31 dicembre 2011

Un anno in frasi brevi. Capire il silenzio.

Perché una persona abbia una storia da raccontare sarà prima necessario viverla. Durante il tempo da dedicare all’esperienza però potrebbero perdersi le sue tracce, ma quando la incontreremo di nuovo, quella persona avrà finalmente una storia a caratterizzarla e renderla unica, e sarà soltanto merito suo se questa sarà degna di essere considerata interessante.

Ultimamente ho avuto la sensazione di aver terminato un percorso (di studio) per cui ho speso tante energie e nel quale ho investito tanto tempo e riposto tutte le mie speranze, ma che, infine, questo non mi abbia lasciato nulla di concreto tra le mani. E invece a ripensarci s’è fatto tanto e s’è iniziata una storia.

L’anno che sta per concludersi lo iniziai con un progetto già in corso, una sorta di “maratona” dedicata ad un cartone animato: la serie animata Pokémon. Fin da bambino mi porto dietro una particolare passione per i cartoni animati, credo che ad appassionarmi siano le storie e le caratteristiche dei personaggi, ma più di tutto sono i colori. I Pokémon si basano su entrambe le cose, un gran numero di personaggi e tanti colori.
Una volta lessi che da piccoli si amano due cose: gli animali e i supereroi. I Pokémon sono animaletti con superpoteri, tutto ciò che un bambino potrebbe desiderare.
Avevo abbandonato i Pokémon durante il periodo del liceo, ma in realtà non avevano mai smesso di incuriosirmi e quando nella seconda metà del 2010 fu annunciata l’uscita della quinta generazione l’aria si fece di nuovo frizzante e la qualità del nuovo prodotto mi riconquistò pienamente.
Non avendo mai giocato ad un videogioco targato Pokémon decisi che, per riprendere il filo del discorso, avrei dovuto concentrarmi sulla serie animata: quella sì che l’avevo seguita, e tra gli episodi sapevo orientarmi bene.
In circa un anno, dall’estate 2009 all’estate 2010, riuscii a recuperare tutti gli episodi delle varie serie e in settembre iniziai la maratona. È durata dal 27 settembre 2010 al 15 maggio 2011, 231 giorni, 625 episodi, una decina di lungometraggi e più di venti episodi speciali. Un’esperienza fantastica ed emozionante, che non fece altro che confermare la mia passione sia per il prodotto Pokémon, sia per l’animazione giapponese in generale e la cultura e la sapienza tecnica che esistono dietro a questo lavoro.
Dopo l’avventura il divario è stato colmato dunque, e così ho potuto seguire in televisione il finale della terza serie (tredicesima stagione occidentale) e continuare subito dopo con i primi episodi della nuovissima serie, “Best Wishes”.

Nel frattempo lo studio universitario s’era intensificato come mai aveva richiesto in precedenza. I tre esami da sostenere prima di poter dedicarmi alla tesi di laurea mi impegnarono moltissimo e mi ritrovai a decidere di abbandonare un’altra mia passione, la WWE.
Ora so perché il wrestling WWE mi appassionava, non tanto per i colori in questo caso, quanto per la storia. Una volta lessi che nel wrestling si può riproporre la stessa storia dopo sette anni, un periodo di tempo considerato abbastanza lungo per farla assorbire agli appassionati e poterla riutilizzare. Ho seguito la WWE dalla fine del 2003 alla metà del 2011, sette anni. Forse la storia stava iniziando a ripetersi. Ho deciso per una passione più profonda, l’animazione giapponese. Ricorderò sempre le emozioni vissute guardando i tuffi dalle corde, ma era venuta l’ora di scegliere e incanalare tutte le energie nella sola passione che il poco tempo libero concessomi dall’università mi permetteva di coltivare.

Quattro mesi per tre esami. Dall’inizio di gennaio alla fine d’aprile ho studiato nell’ordine Botanica generale, Letteratura latina e Letteratura italiana. Mi sono messo alla prova e ho vinto la battaglia contro la mia memoria e il mio metodo di studio. Ho imparato a studiare, ho conosciuto argomenti lontani dalle mie passioni ma che sono stati utili per dare un’occhiata dentro di me. Ciò che ho odiato studiare mi ha permesso di capire cosa amo davvero e nel frattempo i classici della letteratura mi hanno dato una visione d’insieme della storia, quella storia che oggi è anche mia.

Tra la fine degli esami e l’inizio del lavoro di ricerca per la tesi decisi di partecipare ad un concorso indetto dalla rivista ufficiale Nintendo. Disegnare un Pokémon, un personaggio completo, con nome, caratteristiche e colorazione completamente originali.
Dopo le centinaia di episodi visti mi sentivo pronto ed elettrizzato dall’opportunità, ma non conoscendo le dinamiche precise dello svolgimento dei videogiochi, destinazione originale del prodotto Pokémon, mi documentai. Quando su Wikipedia trovai gli algoritmi che regolano il funzionamento delle mosse dei Pokémon capii che era una cosa seria. La sfida è stata emozionante, ho inventato Chinney, l’ho disegnato, colorato e caratterizzato. Produssi una presentazione di 10 pagine tra testi e illustrazioni e la inviai.

Poi, senza perdere un attimo di tempo, mi immersi nella scrittura della tesi di laurea. Titolo: Damien Hirst. Dagli esordi a “Sensation”. Esperienza impegnativa ed avvincente che mi ha dato modo di conoscere storie in cui ho potuto immedesimarmi e che mi ha permesso di colmare il divario che c’è tra il presente e il passato nel quale l’università che ho frequentato è rimasta intrappolata, il motivo principale che mi spinse a fare una ricerca su Hirst e il periodo che l’ha visto protagonista indiscusso della scena artistica internazionale.
Il lavoro per la tesi mi ha insegnato molto. Ho letto Sarah Kent, Gordon Burn, Gregor Muir, Francesco Poli, Donald Thompson, Julian Stallabrass, Norman Rosenthal e lo stesso Damien Hirst. Studiando un periodo spesso definito controverso ho imparato ad avere il coraggio di assumermi la responsabilità delle idee che decido di sostenere e delle decisioni che scelgo di prendere, anche a costo di non piacere a tutti. Spesso si può avere torto ma chi si arrocca sul trono della ragione senza esporsi al confronto diviene incapace di dimostrare la ragione di cui si vanta e diventa elemento inutile del dibattito. Scompare. E l’ultima cosa che io voglio fare è scomparire. M’è sembrato di capire che chi vuole davvero ce la fa ed è in questa direzione che voglio continuare a muovermi. Ci vuole coraggio, e voglio trovarne abbastanza per farcela.

La sera prima del mio compleanno la tesi era terminata e stampata. Appresi la notizia di aver vinto il concorso Pokémon. Un regalo perfetto! Quest’episodio mi ha fatto riflettere. La domanda è: cosa succederebbe se vincessi un concorso indetto dallo staff dell’edizione italiana della rivista ufficiale della prima multinazionale di videogiochi al mondo per importanza, che ha prodotto i tre videogiochi di maggior successo della storia, per di più disegnando un personaggio completamente originale per la mia serie preferita fin da quand’ero ragazzino? Durante il periodo degli studi universitari non avevo quasi mai disegnato, se non per produrre bozzetti di opere da realizzare con altre tecniche. Potevo non aver perso la manualità per produrre qualcosa che fosse di buon livello tecnico?

Ho vinto. E ho scritto. Ho contattato le uniche due riviste del settore disponibili in Italia, capaci di darmi una visione di ampio respiro sull’argomento. Una, lo scorso novembre, ha pubblicato la mia lettera, rispondendomi che il quartier generale Nintendo a cui rivolgersi sarebbe quello giapponese, confermando ciò che risultava dalle mie ricerche: in Europa si reclutano esclusivamente programmatori ed esperti di business. La lingua potrebbe essere l’ostacolo maggiore mi hanno detto, ed eccomi ancora una volta nella situazione di dover scegliere.
A breve sarei stato laureato; anni fa capii che l’argomento che più m’interessa, mi affascina e nel quale riesco ad esprimermi meglio è la storia dell’arte, ho l’ambizione di specializzarmi in arte contemporanea, e, se avrò abbastanza fegato, tenterò di diventare un artista. Una vittoria estemporanea, seppur nel mio cuore avesse il peso della vittoria della vita, non bastava, ma era comunque un segno importante e da non ignorare.
La sensazione a prevalere è stata quella di avere un altro paio di carte valide in mano e temporaneamente ho scelto di tenere il sogno nel cassetto ancora per un po’, e per ora dedicarsi al mondo dell’arte, per il quale ho studiato e mi sento maggiormente preparato, crearmi una storia artistica, fare esperienza e quando arriverà il momento non esitare ad estrarre dal cilindro Chinney e gli altri e proporli. Ora so di possedere la capacità di studiare e prepararmi, che si tratti di arte, di Hirst, Caravaggio o Pokémon. Sono convinto che il momento arriverà, perché non smetterò di cercarlo.

Mi sono laureato in settembre. Laureato in Beni artistici, teatrali, cinematografici e dei nuovi media presso l’Università degli Studi di Parma. Alla mia discussione ho invitato una sola persona, l’unica con la quale non mi sarei sentito a disagio. Ti ringrazio.

Avevo voglia di mettere le mani in pasta e staccarmi finalmente per un po’ dai libri. Sul tavolo c’erano alcune possibilità tra cui scegliere. Pensai che l’esperienza del tirocinio presso una galleria d’arte contemporanea milanese avrebbe potuto tenermi impegnato per qualche mese prima di un possibile soggiorno all’estero. Nessun riscontro. Tre mesi possono sembrare pochi, a me son parsi una mezza eternità. C’è chi dice che a gennaio mi chiameranno in tanti e sarò costretto a scegliere. Forse però sarà tardi, in questi mesi non son stato ad aspettare.

Durante l’anno ho viaggiato. In giugno andai a Londra per capire come si vive da soli e tornai a casa entusiasta; ho festeggiato il compleanno a Bobbio; in settembre, poco prima di laurearmi, ho visitato la Biennale d’arte di Venezia ed è stata l’ennesima conferma. Non c’è motivo per ignorare il contemporaneo e rimanere con lo sguardo rivolto al passato, se si ha la volontà di farlo si può studiare e capire anche il presente, la materia più ostica. M’è piaciuta la Biennale di quest’anno, finalmente dopo tante visite inizio ad avere i mezzi per comprenderla ed apprezzarla. Un mese dopo sono tornato a Venezia per visitare alcune mostre collaterali: Anish Kapoor, Jan Fabre e Karla Black.

Karla Black a Venezia: la mostra più emozionate vista quest’anno, peccato non abbia vinto il Turner Prize; peccato anche per Ascension di Kapoor, l’installazione alla Fabbrica del Vapore a Milano al contrario è certamente al secondo posto della classifica delle mostre più emozionanti viste quest’anno; For the Love of God di Hirst, visto a Firenze in aprile: indimenticabile.

Ho visto decine di film, ma ne voglio ricordare pochi, i miei preferiti: La versione di Barney di R.J. Lewis; 127 ore di D.Boyle; 13 assassini di T. Miike; le sensazioni della Mostra del Cinema di Venezia: Seediq Bale di Wei Te-Sheng. E il coro in sala.

Ricordo le frizzanti private views e la performance di Shen Wei alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia: capire di avere la possibilità di aprire gli occhi senza dover prendere l’aereo. In novembre, invece, mi sono preso la pioggia a Liverpool: un bel viaggio, perché ogni viaggio ha il suo sapore, ed ho imparato qualcosa anche in quell’occasione. Durante un attimo di spaesamento mi sono ricordato qual è il luogo in cui mi sento a mio agio e nel quale so esprimermi al meglio.

Io da grande voglio fare l’artista perché ho l’esigenza di esprimermi. E che io faccia esperienza nell’ambiente con tirocini o altro non importa poi così tanto. L’ultima fase sarebbe quella di eliminare gli intermediari e andare a propormi personalmente. E a questo s’è lavorato.
Avevo lasciato che troppa polvere si accumulasse sui progetti artistici. Si sono ripresi in mano i fogli, s’è aperto il sito web e stampato nuovi biglietti da visita, s’è iniziato a parlare e registrare le riflessioni, si sono prodotti documenti cartacei dei lavori fatti negli ultimi anni, compreso un bel libretto di 150 pagine intitolato Una discussione sull’arte. Ora è arrivato il momento di lavorare a nuove opere, il punto di svolta del programma. Passare dal passato al futuro, impegnandosi da questo momento. Le cose da fare sono poche: puntare al giusto obiettivo e cioè puntare in alto, badare alla qualità e concretizzare.

Pochi giorni fa ho pensato che questo sarebbe un buon momento per far terminare la storia, sono stati raggiunti degli obiettivi e la vita inizia ad avere un senso. Potrebbe essere un buon finale. Ma il finale è sempre un punto d’arrivo nel quale le cose si sistemano in un certo ordine, proprio come all’inizio di qualsiasi storia, che parte ogni volta da una situazione ordinata. La fine e l’inizio dunque: ogni fine può essere un nuovo inizio. Questo momento potrebbe essere un finale ma certamente è anche un nuovo inizio.

È chiaro che ciò che scrivo è destinato essenzialmente a me, serve a fare il punto della situazione, capire chi sono, come evolvo e dove voglio andare.
Potrei interpretarlo come un segnale il fatto che questo riassunto sia stato pensato in frasi brevi, c’è così tanto da fare e non c’è tempo per scrivere papiri. Forse la storia comincia ad ingranare.

La musica che ha accompagnato questo mio anno è dei Sukima Switch e delle Puffy Ami Yumi.
L’attività fisica rimane la mia bestia nera, e trovo che sia un vero peccato.
Con l’inglese ci sto provando ma so di dover cambiare aria, è necessario.
Ho conquistato la fiducia di persone che stimo, ho amici che mi ispirano quotidianamente e che alimentano la grande forza di volontà che mi anima. Mi sento pieno e mi dico: “continua così”.

È arrivata l’ora di riflettere sui seguenti punti, ormai cruciali, perché cruciale è il momento attuale della mia vita: se continuerò a studiare lo farò all’estero, oppure potrei cercare un percorso diverso dalla carriera da studente, ma in ogni caso mi imporrò di farlo lontano da casa, per poter crescere, vedere ed imparare. E continuerò a disegnare! Di partire ho paura ma l’alternativa sarebbe peggiore, so già che lo è.

Se si hanno rimpianti del passato significa che in quelle occasioni non è stato fatto tutto il possibile. Qualunque cosa succeda io cercherò di non avere rimpianti come non ne ho ora, ce l’ho sempre messa tutta e continuerò a farlo, perché è l’unico modo che conosco per fare le cose come mi piacciono, mettendocela tutta.


SM

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