lunedì 2 aprile 2012

Nessuno che conoscessi

Sono alla Tate Modern di Londra dalle 9.45 di stamattina e penso di rimanere fino all’ora di chiusura per sfruttare il wi-fi gratuito.
Oggi ho realizzato un sogno e credo di aver alzato l’asticella di ciò che credevo di riuscire a fare nella vita.
Damien Hirst: non potrei dire nulla di nuovo su di lui, ma lui ha detto molto a me durante quest’ultimo anno. Scelsi di studiare il suo lavoro e ne rimasi affascinato. Le sue riflessioni mi trasmettono un sensazione di sincerità, una percezione che talvolta diventa arte.
Un giorno di qualche mese fa pensai che dopo aver scritto la tesi di laurea sul suo lavoro sarebbe stato emozionante avere l’opportunità di visitare la retrospettiva a lui dedicata: Tate Modern, dal 4 aprile. Ma avrei voluto farlo in una condizione particolare, durante la quale non sentirmi, come al solito, un visitatore uguale a tutti gli altri.
Scrissi una mail all’ufficio stampa della Tate per chiedere informazioni sulle modalità di partecipazione all’anteprima per la stampa. Gentilmente risposero ma non ricevetti nessuna informazione rilevante. Forse sei mesi di anticipo erano troppi per avere notizie precise.
Passa il tempo, faccio altre cose ma quando torno a pensare di vedere Hirst alla Tate mi sembra un sogno. E allora ci riprovo e scrivo di nuovo.
La gentile Kate, assistente dell’ufficio stampa dice che mi farà sapere presto. Poi più nessuna notizia. Dieci giorni prima dell’apertura della mostra però arriva l’invito: Press view fissata per le ore 10 di lunedì 2 aprile; alle 11 visita guidata dal curatore. Non resta che farsi trovare nel posto indicato all’ora indicata.
Volo a Londra sperando che tutto vada per il meglio e che il sogno non si infranga per qualche insondabile e misteriosa ragione. La mattina seguente mi sveglio, mi vesto e vado: l’invito in tasca.
Ha l’invito, signore?
Sì.
Prego, prenda le scale a sinistra fino al terzo piano.
Giornalisti accalcati all’ingresso. Cartella stampa alla mano, attendo. E poi si entra: è fatta, Simone da Castelnuovo Fogliani vede la mostra di Damien Hirst alla Tate due giorni prima che venga aperta a tutto il resto del mondo.
Nella prima sala mi sento a casa, in mostra opere concepite a cavallo del 1988. Lui inizia e io nasco. E dalla seconda sala non c’è ritorno: mosche che volano, mosche che esplodono. Teste mozzate e un agnello. E poi uno squalo che se la ride. Vivi con le farfalle per qualche minuto: le vedi apparire, ti si appoggiano tra i capelli. Entri in farmacia, una palla che vola mentre tutto intorno i colori girano. Ho visto l’interno di una mucca e di un vitello, enormi mosaici d’ali di farfalle e un agnello nero. Un angelo di marmo e una colomba in formaldeide.
Tra il centinaio di giornalisti e addetti ai lavori nessuno che conoscessi. Soltanto qualche faccia nota vista su internet o nei libri di arte. Il direttore della Tate ci presenta la mostra, in prima fila il suo predecessore. La curatrice ci parla di Hirst.
Secondo giro. L’arte è  nelle prime sale, l’arte è dal 1988 al 1994. Rimango un’ora a vedere video: due clown, i Blur, come spararsi in testa senza incorrere nell’inconveniente di rimanere vivi e si finisce con gli U2: “Even better than real thing”.
Sono passate quasi tre ore, e un enorme posacenere emana forte l’odore acre di sigarette fumate venti anni fa. Attraverso una sala di zirconi e corro a rivedere un teschio, salutato esattamente un anno fa. Tre ore dopo la fame è tanta, la ‘turbine hall’ è buia ma da qualche parte una miriade di lucine brillano, e io so dove trovarle.
E ora è finita: non questa stupenda giornata iniziata con un sorriso isterico, quel che è finito con la frase “prego, scale a sinistra fino al terzo piano” è la vita vecchia. Non conosco nessuno della vita nuova, ma tra i Blur e gli U2 mi sentivo tranquillo stamattina e non so cosa potrebbe succedere se smettessi di mandare mail per gioco e iniziassi a fare sul serio. Credo che manderò una mail per chiedere informazioni.
Simone Monsi
2 aprile 2012, Tate Modern, Londra


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