venerdì 13 aprile 2012

Appunti d'identità. Cose che si possono fare in tre mesi

Ho capito tutto
Come scrivere qualcosa che non sembri presuntuoso? Allora scrivere di non riuscire a scrivere. Tre righe sono meglio di una ma le emozioni non sono state nemmeno menzionate. Forse inspiegabili, certamente inconfondibili.

«This time is for work»
Inviare un sms mai arrivato, aspettare un’ora a Davis Street, incontrare la collega greca e poi parlare parlare parlare. Essere raggiunti da una seconda greca, incontrare un amico a Britannia Street e poi parlare parlare parlare. Salutare le greche, camminare a King’s Cross, incontrare una volpe e parlare parlare parlare. Incontrarsi il giorno seguente al medesimo posto e da lì non smettere più di parlare. Quando il locale chiude continuiamo alla fermata del bus. Dire alla mamma che è andata bene. In realtà essere talmente confuso da mangiare qualcosa di così piccante da farti soffrire, ma non soffrire. Non sentirsi più gli stessi. Ricordare discorsi sul cinema asiatico e il nazismo del tutto dimenticati durante un pomeriggio a Bermondsey. Non c’era più niente in testa, o forse era soltanto tutto nuovo. Sentirsi impazzire. Non aver voglia di tornare ma tornare. Non sentirsi più bene a casa.


gennaio: Bermondsey, Londra

Shame, Steve McQueen
Avere voglia di innamorarsi. Andare a Milano e tornare stanchi. Salutare un amore prima che parta. Comprare un Mac, non scartarlo e andare a Bologna per la prima volta. Parlare. Pranzare con un amore tornato e capire quanto poco valgano quelli nuovi, tranne uno: l’amore per una sensazione. Di nuovo a Milano, prendere appunti e un catalogo. Indebitarsi sperando di potersi sdebitare. Tornare a casa stanchi ma sentirsi felici per un sorriso di mamma e papà. My two times in King's Cross.

Un bicchiere di spumante tra tante camicie
Riabituarsi a casa e arrancare. Riprendere il discorso sugli obbiettivi e prendere tempo. Tre giorni a Roma. E ritrovare me stesso, per l’ennesima volta, al museo; partire per farlo e farlo con lei. Sdoppiarsi, organizzare, soffrire. Ricevere un sms a San Pietro, effimero e misteriosamente emozionante. Ricaricarsi. La borsa di nuovo piena. Essere orgoglioso di una persona e salutarla.


febbraio: Testaccio, Roma

Fotocopiare il necessario
Prendere una testata a Milano. Tornare stanchi e con un bernoccolo ma prepararsi per ripartire la mattina seguente: prevedere ed arrivare in anticipo. Guardare, annusare, chiedere e ancora dover fare i conti con loro, fare i conti con tutto quello che non c’è, fare i conti con se stessi. È quando vedi la stanza vuota che ti ricordi di cosa vorresti riempirla. Prenotare il futuro.

Avere fiducia e non mollare
E prendere tempo per ancora due giorni, gli ultimi rimasti, quelli che bastano. Stare un giorno alla Cattolica con Super Mario e i Pokémon. Tornare a sognare, per ritrovarsi nel sonno. La vibrazione è la guida, l’unica che so davvero seguire. E poi prendere il treno, arrivare a Bologna per rimanere dieci minuti, quelli che bastano.

Presentare il conto ai genitori
Loro sanno tutto e valutano. E poi non ti fanno capire se vieni prima o dopo del bene e del male, lui dice soltanto: «…ci sono, sai tu cosa farci». Sai di aver fatto tutto quel che s’è potuto per convincerli e li hai convinti. E ti rendi conto che non riuscirai mai più a fare le cose meglio di così. Prenotare il futuro, ancora e ancora.

Fare i biglietti
Salutare un’amica diretta in Australia e prendere il treno per Venezia. Portare idee e riportarne a casa il doppio. Avere voglia di innamorarsi. Ricevere telefonate, messaggi e mail. Rientrare dall’ennesimo viaggio e sentirsi felici per un sorriso di mamma e papà, di nuovo. Sentirsi orgogliosi di renderli orgogliosi e avere voglia di continuare a farlo. Pubblicare da Venezia.

Di nuovo in autostrada
Scrivere mail a chi è vicino e a chi è lontano. Non essere preso in considerazione da nessuno tranne che da un museo internazionale. Puntuale all’appuntamento con Marina, si presenta la storia. Vederla per la prima volta e non proferire parola. È quando vedi la stanza vuota che capisci di cosa vorresti riempirla. Trattenere le lacrime, ma non i sorrisi: Kate ha mantenuto la parola.

The physical impossibility not to enter if you have the invitation in your pocket
Esserci e basta.
Messaggio ad un amico: "Fottuti".
E poi boh?!

E allora partire
Per mantenere una promessa fatta tempo fa ad un amico e, prima di tutto, a me stesso.
Io da solo, tutti con me.

sm

lunedì 2 aprile 2012

Nessuno che conoscessi

Sono alla Tate Modern di Londra dalle 9.45 di stamattina e penso di rimanere fino all’ora di chiusura per sfruttare il wi-fi gratuito.
Oggi ho realizzato un sogno e credo di aver alzato l’asticella di ciò che credevo di riuscire a fare nella vita.
Damien Hirst: non potrei dire nulla di nuovo su di lui, ma lui ha detto molto a me durante quest’ultimo anno. Scelsi di studiare il suo lavoro e ne rimasi affascinato. Le sue riflessioni mi trasmettono un sensazione di sincerità, una percezione che talvolta diventa arte.
Un giorno di qualche mese fa pensai che dopo aver scritto la tesi di laurea sul suo lavoro sarebbe stato emozionante avere l’opportunità di visitare la retrospettiva a lui dedicata: Tate Modern, dal 4 aprile. Ma avrei voluto farlo in una condizione particolare, durante la quale non sentirmi, come al solito, un visitatore uguale a tutti gli altri.
Scrissi una mail all’ufficio stampa della Tate per chiedere informazioni sulle modalità di partecipazione all’anteprima per la stampa. Gentilmente risposero ma non ricevetti nessuna informazione rilevante. Forse sei mesi di anticipo erano troppi per avere notizie precise.
Passa il tempo, faccio altre cose ma quando torno a pensare di vedere Hirst alla Tate mi sembra un sogno. E allora ci riprovo e scrivo di nuovo.
La gentile Kate, assistente dell’ufficio stampa dice che mi farà sapere presto. Poi più nessuna notizia. Dieci giorni prima dell’apertura della mostra però arriva l’invito: Press view fissata per le ore 10 di lunedì 2 aprile; alle 11 visita guidata dal curatore. Non resta che farsi trovare nel posto indicato all’ora indicata.
Volo a Londra sperando che tutto vada per il meglio e che il sogno non si infranga per qualche insondabile e misteriosa ragione. La mattina seguente mi sveglio, mi vesto e vado: l’invito in tasca.
Ha l’invito, signore?
Sì.
Prego, prenda le scale a sinistra fino al terzo piano.
Giornalisti accalcati all’ingresso. Cartella stampa alla mano, attendo. E poi si entra: è fatta, Simone da Castelnuovo Fogliani vede la mostra di Damien Hirst alla Tate due giorni prima che venga aperta a tutto il resto del mondo.
Nella prima sala mi sento a casa, in mostra opere concepite a cavallo del 1988. Lui inizia e io nasco. E dalla seconda sala non c’è ritorno: mosche che volano, mosche che esplodono. Teste mozzate e un agnello. E poi uno squalo che se la ride. Vivi con le farfalle per qualche minuto: le vedi apparire, ti si appoggiano tra i capelli. Entri in farmacia, una palla che vola mentre tutto intorno i colori girano. Ho visto l’interno di una mucca e di un vitello, enormi mosaici d’ali di farfalle e un agnello nero. Un angelo di marmo e una colomba in formaldeide.
Tra il centinaio di giornalisti e addetti ai lavori nessuno che conoscessi. Soltanto qualche faccia nota vista su internet o nei libri di arte. Il direttore della Tate ci presenta la mostra, in prima fila il suo predecessore. La curatrice ci parla di Hirst.
Secondo giro. L’arte è  nelle prime sale, l’arte è dal 1988 al 1994. Rimango un’ora a vedere video: due clown, i Blur, come spararsi in testa senza incorrere nell’inconveniente di rimanere vivi e si finisce con gli U2: “Even better than real thing”.
Sono passate quasi tre ore, e un enorme posacenere emana forte l’odore acre di sigarette fumate venti anni fa. Attraverso una sala di zirconi e corro a rivedere un teschio, salutato esattamente un anno fa. Tre ore dopo la fame è tanta, la ‘turbine hall’ è buia ma da qualche parte una miriade di lucine brillano, e io so dove trovarle.
E ora è finita: non questa stupenda giornata iniziata con un sorriso isterico, quel che è finito con la frase “prego, scale a sinistra fino al terzo piano” è la vita vecchia. Non conosco nessuno della vita nuova, ma tra i Blur e gli U2 mi sentivo tranquillo stamattina e non so cosa potrebbe succedere se smettessi di mandare mail per gioco e iniziassi a fare sul serio. Credo che manderò una mail per chiedere informazioni.
Simone Monsi
2 aprile 2012, Tate Modern, Londra